mercoledì 5 agosto 2015

Un'isola sconosciuta e 50 remote: in viaggio con Saramago e Schalansky

Saldi estivi: due libri al prezzo di un post. Ci sta, visto che parliamo di due volumi un po' atipici.
Il primo è praticamente un racconto breve, l'altro è, come suggerisce il titolo, un atlante che oltre alle terre e ai mari racconta storie. Ma la protagonista è sempre una: l'isola.

La prima non esiste ancora, è un'idea, un obiettivo, un sogno. 
Le altre 50 sono così lontane da non esistere più, troppo piccole per le nostre carte e troppo sperdute per le nostre menti.
Il primo libro è 'Il racconto dell'isola sconosciuta' di José Saramago.
L'altro è 'L'atlante delle isole perdute' di Judith  Schalansky.

Non vanno solo insieme per argomento. Né per vicinanza temporale (ho comprato i due volumi a 4 o 5 mesi l'uno dall'altro). Né per il mio amore per le carte geografiche (ok, forse sì, ma solo un pochino).

Ma c'è un filo sottile che lega il racconto epico della nascita di un'esplorazione (del mondo e di sé stessi), della preparazione di una navigazione, dei progetti sulla partenza, e le storie di vita di isole scoperte sì, ma quasi dimenticate se non abbandonate. E' l'ineluttabilità della vita, gli ingranaggi che girano, il vento che soffia in una direzione piuttosto che un'altra. La vedetta che grida 'terra'.





"[...] proprio come del resto anche il destino suole comportarsi, è già dietro di noi, ha già allungato la mano per toccarci la spalla, e noi siamo ancora lì a mormorare, E' finita, non c'è nient'altro da vedere, è tutto uguale"
('Il racconto dell'isola sconosciuta', Saramago)



Nel primo libro l'isola è l'uomo  - che si scopre, si riscopre in una situazione nuova, rivaluta il valore del percorso ancora più che l'arrivo, del viaggio prima ancora della scoperta, della nave e del mare e del cielo e dell'amore più che dell'isola ancora da scoprire. 

"[...] ma voglio trovare l'isola sconosciuta, voglio sapere chi sono quando ci sarò, Non lo sapete, Se non esci da te stesso non puoi sapere chi sei [...] Che bisogna allontanarsi dall'isola per vedere l'isola, e che non ci vediamo se non ci allontaniamo da noi"
('Il racconto dell'isola sconosciuta', Saramago)


Nell'atlante, invece, le pagine in formato A4 non riescono quasi a contenere la vastità del mare e degli angoli più sperduti della terra. Le isole remote mantengono questa proprietà, minuscole nella pagina azzurra, come siamo minuscoli noi esseri umani  le nostre storie di ammutinamenti, esplosioni belliche, omicidi, misteri e colonizzazioni. Tesori introvabili disegnati su mappe di carta, più vere del nudo fazzoletto di terra sotto i piedi.


"Cercare è più bello che trovare, pensa Gissler, e ogni buca vuota è solo la prova che il tesoro deve trovarsi altrove"
(Isola del Cocco, 'L'atlante delle isole perdute', Schalansky)

"Le carte geografiche sono astratte e allo stesso tempo concrete, e nonostante pretendano di essere oggettive, non offrono una riproduzione della realtà, bensì una sua ardita interpretazione"
(Prefazione, 'L'atlante delle isole perdute', Schalansky)



Può sembrare che tutte le risposte ai nostri mali quotidiani siano lì, nella solitudine di un'isola sperduta, negli 'antipodi', nel 'lontano' - anche se tutti questi aggettivi spesso non corrispondono a 'migliore'. Non a caso isole e terre remote hanno ispirato artisti e scrittori, da Salgari allo stesso Stevenson: "La forma di questa isola colpì la mia fantasia in modo straordinario. Lì c'erano porti che mi incantavano come sonetti e consapevole di essere guidato dal destino chiamai la mia opera 'L'isola del tesoro'".



Ma la scoperta non è mai la stessa, a volte è rabbia, altre è fatica, altre un incidente; e l'isola è delusione, conquista, prigione. Un omaggio a un re lontano, il nome della patria trasportata nel bel mezzo del nulla. Ognuna ha un nome, ognuna ha una personalità.

Atlasov è una montagna troppo bella fuggita verso il mare, Rapa Iti  è il ricordo di una lingua sconosciuta, Keeling è fatta di scheletri di coralli e Storia, Brava non è la Patria di nessuno, ma è la casa di molti senza Patria.

"E' la nostalgia di un'origine, di un momento indicibile del tempo passato, di una terra lontana, di una patria che nessuno ha. Un sentimento disperso come quest'isola, il desiderio di un posto che non è qui e in nessun luogo. E' il canto di una terra che non ha mai conosciuto una popolazione indigena. [...] Due terzi di questo popolo non vive nella sua terra"
(Atlasov, 'L'atlante delle isole perdute', Schalansky)


Ogni terra ha un'anima, una storia, un nome. E' il nostro modo di far esistere le cose: dar loro un nome, disegnarne i contorni ben definiti, descriverle, ribattezzarle se il nome originale non tocca il nostro linguaggio e i nostri simboli: ricreare ogni cosa che tocchiamo e scopriamo, come se la realtà tangibile non fosse abbastanza e non si possa vivere ciò che non si può dire (o, al contrario, provare a raccontare ciò che non si può vedere).

"Alla fine sparì anche quell'enorme e fantastico continente nell'emisfero australe, il cui nome era due volte sbagliato: Terra australis incognita. Se quella terra era sconosciuta, allora perchè aveva un nome?"
(Prefazione, 'L'atlante delle isole perdute', Judith  Schalansky)


Se non c'è più nulla da scoprire non resta che vagare. O scoprire che l'isola davvero sconosciuta, la terra incognita, il luogo senza nome, è dentro di noi.


"Verso mezzogiorno, con la marea, L'Isola Sconosciuta prese infine il mare, alla ricerca di se stessa"
(Il racconto dell'isola sconosciuta', Saramago)


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