Inizia il 2015, e a proposito di inizi...
"Salve, vorrei disdire il mio abbonamento alla rivista Like...". Quanto romanzi, quante storie sono iniziate grazie a un indirizzo sbagliato? A uno scambio di persona? 'Le ho mai raccontato del vento del Nord' (e il seguito, 'La settima onda') di Daniel Glattauer (Feltrinelli, 2010, traduzione L. Basiglini), è una di queste.
E se mai al mondo qualcuno si fosse chiesto se fosse possibile scrivere un intero romanzo senza far incontrare mai i protagonisti, la risposta ora c'è, ed è sì. O meglio, Leo ed Emma (anzi, Emmi), si incontrano eccome. Tutti i giorni, più volte al giorno, si cercano pochi minuti dopo essersi salutati, pur senza mai vedersi né essersi mai visti prima. Tutto ciò che li accomuna è lo schermo di un pc e il foglio bianco di una casella email (inizialmente errata).
"Ieri mi ha scritto: 'Non dobbiamo cominciare a insinuarci nella sfera privata dell'altro'.
Le dico una cosa: quello che facciamo qui, quello di cui parliamo, è sfera privata, sfera privata e nient'altro che sfera privata, a cominciare dalla prima e-mail fino ad oggi, in un crescendo continuo. Non scriviamo una parola sul nostro lavoro, non riveliamo i nostri interessi, non una volta i nostri hobby, facciamo come se la cultura non esistesse, nascondiamo la politica, riusciamo a vivere persino senza le suggestive descrizioni meteo. L'unica cosa che facciamo e che ci fa dimenticare tutto il resto è insinuarci nelle nostre sfere private, lei nella mia, io nella sua. Più privatamente insinuante di così si muore. A poco a poco dovrebbe ammettere di essere 'un mio intimo privato', inteso, in via eccezionale, in tutt'altro senso da quello che si presume sia il mio argomento preferito. Mi spingerei addirittura a dire: ben oltre quel senso"
[Le ho mai raccontato del vento del Nord]
Come voyeur informatici o romantici hacker, a noi lettori è concesso di spiare la cronologia di queste conversazioni, il botta e risposta, il crescendo quasi insopportabile, dalla conoscenza fortuita, ai primi momenti di curiosità iniziale, dalle intriganti confessioni ai primi dubbi, dalle ipotesi di incontro (mancato) ai primi incontri-scontri tra vita reale e vita digitale.
"Ah ecco che mi scrive la mia Emmi. Emmi. Emmi. Emmi. Sono un po' ubriaco, ma solo un pochino. Ho passato la serata a bere e ad aspettare la mezzanotte, l'ora in cui arriva Emmi. [...]
Desidero la mia Emmi. Vuole venire da me? Spegniamo la luce e basta. Non dobbiamo vederci. Emmi, io voglio sentirla. Chiuderò gli occhi. [...] E adesso è di nuovo il suo turno, Emmi, mi scriva. Scrivere è come baciare, solo senza labbra. Scrivere è baciare con la mente. Emmi, Emmi, Emmi"
[Le ho mai raccontato del vento del Nord]
"[...] 'Magari il tuo è solo bisogno di mistero. Magari ti sei innamorata di un eccitante mistero' [...] Leo, che ne pensa: posso trasformare Bernhard in un eccitante mistero? Si possono trasformare otto anni di vita familiare in un eccitante mistero? [...] Voglio che lei voglia di nuovo baciarmi (non è sgrammaticata, no?). Non ho bisogno di baci veri. Ho bisogno di colui che, in certe situazioni, aveva così tanta urgenza di baciarmi da non poter fare altro che scrivermelo. Ho bisogno di Leo"
[Le ho mai raccontato del vento del Nord]
E l'incontro? Il rincorso, agognato, sognato incontro? Che attesa insopportabile.
"RE: Un unico incontro? Che cosa si aspetta?
R: Conoscenza. Senso di liberazione. Sollievo. Chiarezza. Amicizia. Soluzione di un enigma relativo alla personalità alimentato dalle parole, eppure indescrivibilmente spropositato nelle dimensioni. Eliminazione di blocchi mentali. Poi una bella sensazione. La miglior ricetta contro il vento del Nord. La degna conclusione di una fase eccitante della vita. La risposta semplice alle migliaia di domande complesse e ancora in sospeso. O, come ha detto lei: 'Almeno un finale divertente'."
[Le ho mai raccontato del vento del Nord]
Ma bisognerà aprire il secondo libro (dopo essersi ripresi dal finale del primo) per avere qualcosa di simile a un tete-à-tete tra Leo ed Emmi. E, non posso fare a meno di aggiungere, la cosa ruba a 'La settima onda', gran parte della tensione e del valore del primo romanzo. Non c'è l'attesa spasmodica di un "nuovo messaggio" nella casella Posta in arrivo. Non si vedono le nevrosi e i dubbi di un uomo e una donna che sviscerano i buchi neri della rete, analizzano le loro paure e i loro dubbi, mettono in discussione ogni virgola, ogni maiuscola. Non c'è quel qualcosa che nel primo libro regnava sovrano. Resta solo un isterismo quasi forzato, le frasi da analizzare come lettere d'amore diventano trattati di meta-comunicazione, "perché lei mi ha detto che io le ho detto che lei ha detto", alternate a frasi a volte troppo sdolcinate. Ma nella corsa verso l'ultima pagina (a questo punto, non se ne può fare a meno) 'La settima onda' offre comunque perle (subito orecchiate), come questa:
"Cara Emmi, nella parte più interna della mia mano sinistra, supergiù al centro, dove la linea della vita è intralciata da grandi pieghe ad arco e devia verso l'arteria radiale, lì c'è un punto.
Lo osservo, ma non riesco a vederlo. Lo fisso, ma non si lascia trattenere. Posso solo sentirlo.
Lo percepisco anche ad occhi chiusi. Un punto. E' così forte al tatto che mi vengono le vertigini. Quando mi concentro su di esso, il suo effetto si propaga fino alle punte dei piedi. Mi pizzica, mi solletica, mi riscalda, mi scuote. Stimola la circolazione del sangue, dirige il mio polso, decide il ritmo del battito cardiaco. E nella testa fa l'effetto inebriante di una droga, dilata la mia coscienza, allarga il mio orizzonte. Un punto. [...] Questo ha generato un leggero contatto. Io l'ho conservato. Nessuno potrà portarmelo via. Ti sento, Ti vedo. Ti riconosco. Sei la stessa.
Sei identica. Sei il mio punto.
[...] Non solo ho centinaia di impressioni, di te ho anche un'impronta. Ho un punto di contatto nella parte più interna della mia mano. Lì posso osservarti. Lì posso persino accarezzarti"
[La settima onda]
Ma non aggiunge nulla al primo. Se non un finale. Ecco forse (e qui lo dico, qui lo nego, da inguaribile romantica che sono), forse qui un finale poteva non esserci. Come non c'è parola fine nel continuo divenire dei dati e del web. E anche Leo ed Emmi, dopo 200 pagine risultato un po' troppo manierati, psicoanalitici, filosofici, quasi esperti di nuovi media. Mai innaturali o fuori luogo (cosa per me imperdonabile in due protagonisti), ma... ma. Insomma: con 'Le ho mai raccontato del vento del Nord' Glattauer disegna un perfetto epistolario moderno con tutti i suoi annessi e connessi (nevrosi, dubbi, costruzione di identità digitali, sdoppiamento e conflitto realtà-rete, attrazione platonica e non per mezzo delle parole), in 'La settima onda'... ci dà quello che vogliamo. E basta. Il seguito e il finale di questa conversazione privata-non privata. Dalla rete alla realtà senza ritorno. Come fare a spiegare questa sensazione senza svelare nulla? Era quello che volevamo: un "o almeno un finale divertente". Ma... ma.
"Sarò quello che sono. E lei mi vedrà per come sono. Perlomeno, mi vedrà per come crede che io sia. O mi vedrà per come vuole credere che io sia"
[Le ho mai raccontato del vento del Nord]
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